GIORNATE MONASTICHE
Un tempo per fermarsi
e un tempo per cercare...
Giornate monastiche per fare esperienza degli elementi portanti della nostra vita: lavoro, preghiera, fraternità, ospitalità.
Giornate di laboratori, confronto, silenzio e riflessione in compagnia di alcune sorelle della comunità: un tempo per fermarsi e cercare se esiste una libertà diversa da quella che abbiamo sempre pensato, se è possibile un modo di vivere altrimenti, se è vero che si può essere felici, se l’inquietudine congenita che ci portiamo dentro si scioglierà prima o poi, se esiste una strada per entrare dentro di sé e nuotarci come il pesce nell’acqua.
E, perché no, per cavarsi la voglia di sapere se Dio esiste e sta tentando di dirci qualcosa...
“Perché sei qui”?
Erano gli stessi monaci a chiederselo, magari dopo 10, 20, 30 anni passati nei deserti di Egitto, Siria, Palestina… già a partire dal IV secolo, da quando cioè il monachesimo cristiano ha fatto la sua comparsa in quei luoghi. Guardando a quegli “antichi padri” fondatori delle prime comunità monastiche, anche la nostra Teresa d’Avila, Madre delle Carmelitane Scalze, ha attinto alle loro fonti per essere a sua volta “di fondamento” a quelli che sarebbero venuti dopo, cioè noi. Che dovremmo fare altrettanto.
E noi, perché siamo venute in monastero? È una domanda che ci sentiamo rivolgere dai gruppi che vengono ad incontrarci: scout e no, bambini e genitori, catechisti e educatori, coppie di fidanzati, sposi, separati e ri-sposati. Ma non solo. Che senso ha la vostra vita? Cosa fate tutto il giorno? Non vi stancate di pregare sempre? Vi piace il vostro lavoro? Vi capita di litigare? Leggete i giornali, guardate la tv, come fate se vi si rompe qualcosa? Perché voi state lì dietro e noi qua fuori? Cosa vuol dire che siete Scalze? È vero che non avete da mangiare? Non vi viene voglia di fare qualcosa per gli altri? Avete dei dubbi? E se una ci ripensa? Bisogna studiare per diventare monaca? Se siete di clausura, perché vi si vede? Ma si può anche venire a messa da voi?
Quelli poi che ci incontrano accidentalmente, tipo mentre stiamo parcheggiando o in qualche sala di attesa, ci chiedono incuriositi se il monastero è ancora “attivo”, se ci abitano solo le suore “pensionate” messe a “riposo” dopo un’intensa vita di apostolato e di missione, se noi suore del Cottolengo (?!) facciamo ancora le punture agli ammalati… Da qualche affermazione più “radical chic” risulterebbe che le cosiddette “suore chiuse” sarebbero già state “eliminate” parecchi anni or sono…
Noi invece, per adesso, ci siamo ancora, a farci sempre la stessa domanda che ha alimentato la vocazione di generazioni e generazioni di monaci: perché sei qui? La vita monastica, che è per antonomasia uscita, ricerca, tensione e movimento verso un unico scopo, polarizzazione e attrazione di spirito, anima e corpo verso un unico amore, non si può raccontare, la si può solo trasmettere da vita a vita, vivere e far vivere.
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